Articolo pubblicato nel dicembre 2015
Il volto più noto a livello mondiale è quello ragazzino di Icube, l’umanoide diventato la mascotte dell’Iit di Geno- va e di un’eccellenza tutta italiana, la robotica. Ma poi ci sono i robot vigna- ioli, quelli che impastano la pizza e pure i badanti che in una casa riposo di Peccioli, in provincia di Pisa, si prendono cura degli anziani grazie a una sperimentazione condotta dal Sant’Anna di Pisa. Lì vicino nasce anche la soft hand, la mano robotica in grado di versare un caffè e maneggiare banconote. Frontiere impensabili fino a pochi anni fa e che la scienza, dopo averle raggiunte, è pronta a trasferire all’industria. Sì perché, con la robotica e l’automazione industriale, l’Italia si ritrova in tasca un tesoro che potrebbe essere, ancor più di adesso, la carta vincente per accedere all’Olimpo del nuovo manifatturiero.
La produzione di macchine utensili, robot e automazione — quella che ha come principale riferimento Ucimu — supererà quest’anno i 5 miliardi di euro. Con quat- trocento aziende e 32 mila addetti, il set- tore è il quarto produttore al mondo in termini assoluti, terzo per esportazione: l’Italia viene superata solo da Cina, Germania e Giappone. Lasciatasi alle spalle la congiuntura negativa già due anni fa, la produzione ha preso letteralmente a vola- re: nel terzo trimestre 2015 le vendite so- no crescite del 16,3% rispetto all’anno pre- cedente. «Gli stessi ordini interni sono cresciuti del 5% — spiega il presidente di Ucimu Luigi Gabaldini — ma si può fare ancora meglio». Il prossimo anno il Superammortamento, che permette l’ammortamento del 140% del valore del bene ac- quisito, potrebbe far schizzare in alto la componente interna. «Bisognerebbe poi prevedere anche una misura che incentivi la sostituzione, volontaria, di macchinari obsoleti, installati in Italia, in modo che i sistemi di produzione possano rispondere alle nuove esigenze di produttività e risparmio energetico» insiste Gabaldini. All’orizzonte c’è Industria 4.0, paradig- ma che unisce connettività, digitale e robotica nelle linee di produzione e che decollerà definitivamente solo quando ro- bot e uomo potranno collaborare uno accanto all’altro in tutta sicurezza. È questo uno dei punti su cui lavora Comau, azien- da del gruppo Fca, diventata leader a livello mondiale nell’automazione. In primis, ovviamente, nell’automotive, settore che rappresenta l’80% del fatturato complessivo del gruppo (1,6 miliardi di euro). Per arrivare al traguardo Comau ha addirittu- ra fondato un’Academy, una sorta di università dell’automazione e della robotica, che offre un master di secondo livello organizzato con il Politecnico di Torino. «Ogni anno — spiega Maurizio Cremonini, direttore marketing di Comau — mettiamo a disposizione tra i 20 e 30 posti e le candidature raggiungono anche le tremila unità. Chi accede al Master — continua Cremonini — viene automaticamente assunto a tempo indeterminato».
Facile capire perché arrivano da tutto il mondo. Comau ora lavora soprattutto con le Uni- versità: i Politecnici di Milano e Torino innanzitutto, la Sant’Anna di Pisa ma poi anche istituti cinesi e tedeschi. È con loro che Comau sta sviluppando robot in gra- do di collaborare con l’operaio in fabbrica. «Il tema è complesso perché ci sono problemi di sicurezza legati al peso e alla velocità delle macchine — spiega Cremo- nini —. Lo sviluppo della sensoristica pe- rò potrebbe fornire ai robot occhi e tatto. Altro settore in via di forte sviluppo sono gli esoscheletri, dei tutori intelligenti che indossati dall’operaio lo aiutino a spostare carichi pesanti».
Ma perché proprio in Italia si è svilup- pato un settore così tecnologicamente interessante? «L’origine è storico-culturale — spiega Marco Taisch, docente di Siste- mi di produzione automatizzati al Politec- nico di Milano —. Affonda le sue radici nelle botteghe e negli utensili sviluppati dai maestri artigiani. C’è un aspetto di creatività, matrice del design italiano, che unito all’IT dà vita alla robotica. Inoltre, dopo la seconda Guerra mondiale, l’Italia è stato il Paese europeo dove la manodo- pera costava meno: questo ha trainato l’innovazione tecnologica e la costruzione delle macchine utensili». Radici antiche e culturali per andare lontani e crescere. Ma come? Taisch suggerisce tre priorità. «In- nanzitutto bisogna iniziare a preparare le competenze. Mancano ingegneri nel set- tore e bisogna sensibilizzare i docenti del- le scuole superiori. In secondo luogo bi- sogna lavorare sulla permeabilità tra ricerca e impresa, per attivare un modello virtuoso sul modello tedesco. Infine favorire gli investimenti in innovazioni tecnologi- che e fare informazione. Perché l’italiano medio non sa che il nostro Paese è e può essere sempre di più la patria della robotica».