Pubblicato il 22 gennaio 2015 in prima pagina sul Corriere del Veneto
In questi anni di volatilità economica e sociale, a livello globale i territori, soprattutto le aree metropolitane, sono in competizione tra loro per attrarre intelligenze, aziende innovative, lavoro. Non sono mobili solo i capitali, lo sono anche le persone e con esse le loro famiglie e le loro storie. Siamo entrati in una fase in cui le aziende, per accaparrarsi ingegneri, programmatori e creativi, scelgono di aprire le proprie sedi in una città – o in uno Stato – piuttosto che in un altro, non solo per motivi fiscali, ma anche socioambientali: dove possono trovare aziende altrettanto avanzate con le quali collaborare, un’università e centri di ricerca di livello, l’alta qualità della vita – fatta di ambiente, servizi, cultura – che i propri dipendenti e dirigenti cercano per loro e i propri figli. Perché – quando uno ce l’ha, sia chiaro – non conta solo lo stipendio. Vincono, insomma, le città capaci di creare un ecosistema complessivo in grado di favorire la contaminazione e la mobilità, dove il lavoratore possa «entrare» subito a pieno regime. In due parole: città accoglienti ed evolute.