Ha fatto un gran rumore la firma del protocollo d’intesa, avvenuta il 16 marzo a LetExpo Verona, tra Regione Veneto, Cav (Concessioni autostradali venete) e Ministero dei trasporti per la realizzazione tra il porto di Venezia e l’interporto di Padova di un prototipo di Hypertransfer destinato alle merci. Il mezzo, una declinazione dell’Hyperloop ideato da Elon Musk, dovrebbe essere pronto entro il 2026 e trasportare in 5 minuti le merci tra le due città raggiungendo la velocità di 700 chilometri orari. Meno di quella teorica del sistema, fissata a 1.223 chilometri orari, poco sotto la velocità del suono, a causa della tratta molto breve che non consente di raggiungere un’adeguata accelerazione. E’ esattamente quello che ha illustrato Cav nella sua presentazione: un cronoprogramma serrato che ha dell’incredibile se rapportato ai normali tempi della burocrazia italiana.
«La firma del protocollo d’intesa dà il via a una road map che prevede, entro i prossimi mesi, la pubblicazione, da parte di Concessioni Autostradali Venete, di un avviso finalizzato a raccogliere la manifestazione di interesse da parte di imprese o raggruppamenti di imprese interessati a realizzare il progetto. Entro la fine dell’anno, sulla base delle offerte ricevute, Concessioni Autostradali Venete procederà a individuare il partner, per consentire poi, entro l’estate 2023, l’ottenimento di uno studio di fattibilità. I passaggi successivi, che culmineranno nel 2026, prevedono lo sviluppo della progettazione e la realizzazione di un test truck per ottenere la certificazione del sistema, propedeutico all’avvio ufficiale del primo Hyper Transfer System d’Italia», scrive Cav nel comunicato ufficiale.
Un po’ più prudente la versione ufficiale della Regione Veneto. «Il Protocollo approvato prevede l’avvio di una collaborazione per l’individuazione da parte di CAV dell’operatore economico dotato dei requisiti necessari al compimento delle analisi e delle relative fasi di studio, alla valutazione sulla fattibilità dell’intervento e allo sviluppo dei livelli progettuali ed eventuale realizzazione di un prototipo con sperimentazione su campo. Lo strumento amministrativo pensato per individuare il partner tecnologico ed industriale, è il partenariato per l’innovazione. L’investimento atteso per la realizzazione dello studio di fattibilità è pari a 4 milioni di euro, mentre per l’espletamento delle attività di valutazione di fattibilità e di progettazione è previsto un periodo di 45 mesi». Quarantacinque mesi a partire da marzo 2022 ci portano dritti dritti a gennaio 2026. Nel 2026 secondo questa versione avremo quindi il progetto, non la realizzazione dell’opera. Nel virgolettato ufficiale il presidente Zaia è chiaro: «Spero di vedere il progetto per il 2026». Cav comunque conferma la sua versione e promette di procedere alla realizzazione nell’anno simbolo delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina. E i giornali hanno, giustamente, ma senza alcuna problematizzazione e poca contestualizzazione, messo nero su bianco questa promessa.
Quel ne consegue è che dal punto di vista tecnico siamo di fronte al tipico caso di Hype comunicativo: parliamo di Hype comunicativo quando si raggiunge un picco di attenzione da parte del pubblico in seguito a un annuncio. L’Hype non è di per sé cattivo (anzi, è la cosa che tutti noi comunicatori ricerchiamo), ma va gestito. Perché all’annuncio, a meno che non ci siano immediate conseguenze pratiche, segue, solitamente, una fase di grossa caduta nell’attenzione che rischia di sfociare in disillusione. Non sarà così se ha ragione Cav e se i cantieri procederanno spediti. A breve infatti dovrebbe essere pubblicato il bando ed entro l’anno dovremmo già sapere chi realizzerà l’opera. Ma prima di entrare nell’analisi della comunicazione, delle sue conseguenze e provare a prevedere i prossimi passi mettiamo in ordine alcuni elementi di contesto indispensabili a inquadrare la notizia.
L’idea di Hyperloop nasce nel 2012, esattamente dieci anni fa, dalla mente geniale di Elon Musk. Il creatore di Tesla e Space X ha rispolverato, aggiornandola, un’idea che non è esattamente nuova: sfruttare la levitazione magnetica per far viaggiare persone e merci. La particolarità del progetto sta nell’idea di sfruttare capsule pressurizzate da sparare all’interno di tubi metallici sopraelevati rispetto al suolo. Solo che rispetto alla maggior parte delle sue idee, in questo caso Musk ha deciso di rendere il progetto open source e scatenare una competizione globale che ha già visto in nascere di alcuni attori, alcuni dei quali anche italiani (in questo articolo di Economyup trovate un buon riassunto, continuamente aggiornato).
Quello veneto, rischierebbe, se gli annunci verranno rispettati, di essere il primo vero prototipo funzionante di Hyperloop al mondo. Al momento infatti si è visto molto poco:
Per tutte queste caratteristiche HyperLoop appare sì come un game changer, una tecnologia in grado di cambiare le regole del gioco, ma la cui realizzazione appare più come una maratona che come uno sprint. Un po’ come l’auto a guida autonoma. Eppure ogni step viene annunciato, da 10 anni ormai, con grandissima enfasi comunicativa come fossimo prossimi alla messa in esercizio. E invece finora ci abbiamo messo 10 anni per arrivare a test su tratti di poche centinaia di metri. Questo non deve stupire: ci sono tecnologie che necessitano di grandi tempi e investimenti per poter diventare realtà; poi magari tutto a un tratto arrivano a maturazione. Ma poi, quando questo accade, allora devono scontrarsi con valutazioni meramente economiche e pratiche sulla propria sostenibilità.
Riassumendo: il Veneto si candida a realizzare, in soli 4 anni, un salto significativo nella storia di questo progetto. Una vera tratta operativa, pur per le merci, la prima probabilmente al mondo sfidando peraltro i tempi della burocrazia italiana. La presenza alla firma del protocollo del ministro ai trasporti Enrico Giovannini rafforza ulteriormente il messaggio e la credibilità dell’intento.
Alla base dello stupore (a volte incredulità, a volte ironia) con il quale il progetto è stato accolto a livello social (potete scorrere le bacheche dei quotidiani, ad esempio qui), c’è un contesto territoriale di cui tener conto. Anche il «fit» tra la tecnologia e un ambiente così densamente popolato e infrastrutturato come il Veneto ha destato alcune perplessità, emerse via social, ma, ancora una volta, non sulla stampa:
Ma ci sono altri fattori nello scenario veneto che vanno conosciuti per comprendere quello che può sembrare un «eccesso di perplessità»:
In questo contesto parlare di HyperTransfer per guadagnare qualche minuto per le merci è sembrato quantomeno straniante.
Perplessità a parte, che andavano esplicitate da parte mia (e magari anche dalla stampa), il progetto annunciato a Verona da Zaia e Giovannini è oggettivamente importante e noi speriamo che si realizzi nei modi e nei tempi previsti. Permette all’Italia di candidarsi ad area test per una tecnologia dal grande potenziale. Non solo: le cordate che si candidano alla progettazione non sono solo estere, ma anche italiane e quindi potrebbero esserci ricadute sullo sviluppo innovativo del nostro Paese. Bisogna quindi fare in modo che, nei prossimi mesi, eventuali difficoltà non azzoppino la fiducia sullo sviluppo della tecnologia. Cosa succede infatti tipicamente? A un annuncio così forte, sicuro e poco problematizzato («Avremo Hyperloop nel 2026») alle prime difficoltà subentrano sfiducia e mancanza di supporto.
L’effetto a lungo termine fa almeno tre vittime:
In parte questo fenomeno è inevitabile: è un carattere della nostra comunicazione e del nostro sistema. In parte però può essere corretto: la caduta può essere attutita. Come? Se l’Hype è stato creato da chi ha organizzato la comunicazione, ma principalmente causato dai media che non hanno problematizzato e tematizzato l’annuncio, la fase successiva, quella di «risalita» è tutta nelle mani di Cav. L’obiettivo dovrebbe essere quello di evitare il «vuoto» di comunicazione nel quale rischia di cadere il progetto. È un vuoto pericoloso che andrà, se il progetto è concreto, riempito il prima possibile di contenuti. Se si arrivasse al 2026 con ritardi a causa di intoppi, qualcuno potrebbe non volerne sentir più parlare. Se invece si adattasse il ritmo della comunicazione a quello della tecnologia – un ritmo da maratona, con passi cadenzati e costanti, piuttosto che con quello dello sprint che deve bruciare le tappe – si potrebbe costruire un rapporto fatto di fiducia tra i committenti e quanti guardano con entusiasmo alla possibilità di testare una tecnologia simile sul proprio territorio. Una pianificazione editoriale che mostri, attraverso news e attività social ad ogni passo, i progressi amministrativi, progettuali, realizzativi avrebbe il duplice effetto di mostrare trasparenza e ricostruire il filo dello svolgersi razionale dei progressi: concreti, realistici, raccontati per quel che sono, senza promesse impossibili da fare.
Sperando che di Hyperloop non ci rimanga solo l’Hype.
Luca Barbieri